"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

sabato 27 luglio 2013

LE ARMI NEL MONDO: A NEW COLD WAR?

Autore: Emiliano Bonatti


Scorrendo i dati pubblicati dal SIPRI, una delle fonti più attendibili in tema di monitoraggio del commercio internazionale di armamenti, sembra di percepire lontane reminiscenze da “guerra fredda”, seppur decisamente annacquata. Certo il bipolarismo crollato assieme al muro di Berlino non potrà mai risorgere ma la Russia di Putin, ormai da qualche anno, si è assestata come principale concorrente degli Stati Uniti nell’esportazione di armi convenzionali a livello mondiale.
Nella classifica dei “top 5” dell'anno 2012 gli eredi delle due ex superpotenze staccano abbondantemente gli altri principali esportatori, lasciando al terzo posto una Cina che “arranca” a miliardi di dollari di distacco.
La situazione, sempre per l'anno 2012, riguardante i principali paesi importatori è invece rappresentata nel grafico seguente.

Al di la dei valori assoluti, diventa molto interessante capire quali siano le direttrici, e quindi le sfere di influenza, attraverso le quali i due protagonisti della guerra delle armi espandono la propria rete di vendita. La seguente mappa mostra, in rosso e azzurro, i 10 principali aquirenti di Usa e Russia (clicca per ingrandire).
Come si può notare a parte gli Emirati Arabi Uniti (in giallo), dove comunque gli Stati Uniti esportano circa 10 volte quanto esportato da Mosca, non esistono altre zone in cui ci sia concorrenza diretta nella vendita di armi. Si assiste ad una specie di "spartizione" del mondo che porta la Russia ad assumere il ruolo di fornitore di nazioni che non rientrano nella sfera d'influenza statunitense. L'India, ad esempio, primo Stato per importazione di armi del 2012, versa nelle casse delle industrie belliche russe più dell'80% dei 5 miliardi di dollari spesi.

Se richiami alla guerra fredda sembrano di fatto azzardati, stiamo comunque assistendo ad un testa a testa su scala globale tra "vecchi amici" che si ritrovano di fronte nel tentativo di dividersi il globo. Non più con obiettivi di contenimento reciproco, ma con pesanti finalità commerciali. D'altro canto, il mezzo rimane lo stesso: le armi portavano peso politico, influenza e posizioni strategiche all'epoca della cortina di ferro mentre ora, in un mondo profondamente diverso, aggiungono il rilievo di guadagni miliardari.

La Russia ha riconquistato di fatto una posizione rilevante nello scacchiere internazionale (dopo aver rischiato di finire ai margini del mondo nel periodo di transizione seguito al crollo dell'Unione Sovietica) anche grazie alla crescita esponenziale della produzione/esportazione di armamenti a cui va aggiunto, a partire dal 2002, un aumento annuo del 20% delle spese di potenziamento delle proprie forze armate (la media Usa è del 7%). Di certo la posizione di leadership degli Stati Uniti, e la capacità di intervento pressochè globale, appare ad oggi non scalfibile ma Putin, da ex agente KGB, conosce perfettamente il fondamentale nesso tra potenza militare e "peso" a livello internazionale.
Proprio gli americani, d'altronde, da questo punto di vista sono ottimi maestri.

venerdì 19 luglio 2013

L'IMPORTANTE E' PARLARNE


Autore: Rodolfo Marangotto


Ho atteso il trascorrere di qualche giorno per avere la certezza che anche questa vicenda si attestasse sui canoni tipicamente italiani.
Una buona dose di energie del nostro paese malato sono state sperperate nel vano tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica (e, ahimè, anche quella politica) sulla sprezzante affermazione dell’Onorevole Roberto Calderoli a proposito del ministro Kyenge. Ovviamente, dando pieno risalto al fatto che l’interessato oltre ad essere uomo “degno d’onore, onorato, che gode alta reputazione (per meriti, dignità, grado, nobiltà, ecc.)…” così come l’illustre vocabolario Treccani definisce chi è onorevole, è anche vice-presidente del Senato, ovvero vice della seconda carica più alta dello Stato! Ebbene, si!
L’ovvia condanna per l’ennesima espressione razzista del senatore bergamasco si scontra con le imbarazzanti difese legate alla natura scherzosa dell’affermazione e al luogo di provenienza, un comizio politico.
Se ne è parlando tanto e comunque abbastanza da riempire pagine di giornali, servizi televisivi, trasmissioni radiofoniche… fino ad arrivare all’ovvia meta. Lo sfinimento dell'opinione pubblica, leggasi indifferenza! Con la conseguenza più nefasta: aver seminato ulteriore barbarie tra la società.
Il repertorio di Calderoli ormai è ampio e col passare del tempo si arricchisce di perle di vera stupidità e a farne le spese è la società italiana. Forse è lui il vero animale o meglio il marziano della situazione, dovendo assimilare le (altre) persone ad animali come unico modo per distinguersi.
Ma tutto questo è solo la maschera di quello che in realtà è andato in scena al comizio di Treviglio. Calderoli non è certo il burlone di turno che vuole animare la serata del bar di paese, come spesso riesce bene a far credere. La sua affermazione è volontaria; studiata e preparata nei minimi dettagli per poter raggiungere l’effetto sperato: parlarne, parlarne e ancora parlarne.
Ha riempito la pancia di fervida soddisfazione di molti suoi simpatizzanti; oggi possono orgogliosamente esprimere la propria intolleranza nei confronti di chi non è come loro …o di chi assomiglia ad un animale!
Ha (ri)acquistato consenso, ammirazione e visibilità.
Ha rianimato lo spirito nel suo movimento politico, dopo aver perso smalto negli ultimi mesi.
Ma perché offendere gratuitamente una donna? Perché in Italia denigrare una persona nera è possibile anche (e soprattutto) se si è un onorevole? Perché un rappresentante politico di primo piano non riesce a criticare l’operato di un Ministro e non la persona che lo rappresenta?
La cosa più raccapricciante è successa dopo l’esclamazione dal palco: le risate e gli applausi dei presenti al comizio e la sfacciata assoluzione di Calderoli da parte di coloro, che a vario titolo, hanno ritenuto tollerabile l’affermazione o comunque non offensivo paragonare il Ministro Kyenge ad un orango.
Inutile contare le risate a Treviglio, quando siamo circondati da un mare di persone che ritengono l’indifferenza la medicina a questi gesti di pura intolleranza mascherati da propaganda politica (o viceversa). Purtroppo in questo mare sguazzano anche molte delle donne e degli uomini seduti nel parlamento italiano!
Ma ormai tutto è finito: la memoria e la vergogna per gli italiani è davvero poca cosa! Alla porta è già pronto l’ennesimo fatto imbarazzante, di cui ricominciare con impeto a Parlare, oramai inevitabile sinonimo di Dimenticare!
Prossimi appuntamenti:
- silenzio stampa di Calderoli per qualche tempo …aiutato dalla maga estate;
- riapparizione di Calderoli in autunno, con fugaci interviste dai toni sobri e mesti su vari temi di rilievo della nostra politica;
- comparse lampo ma di vivacità riacquistata per l’inverno;
…e per la prossima primavera siamo tutti pronti a ricevere un'altra vergognosa sparata!!!
PS: il crono programma può ridursi a pochissime settimane in presenza di eventuale campagna elettorale.

giovedì 11 luglio 2013

LE FOLLIE DEL PD

Autore: Emiliano Bonatti


I fatti politici della giornata sono l'ennesima dimostrazione di una verità chiara alla maggioranza dei cittadini ma mai ammessa, per palese convenienza politica, da nessuno dei protagonisti dello strampalato tentativo tutto italico di dar vita ad un Governo di larghe intese. Alla faccia dei reali bisogni di un paese al collasso, la "Große Koalition" nostrana nasce, prospera o rischia di morire in funzione delle esigenze di UN singolo individuo. Una nazione intera schiava del destino di un uomo che da 20 anni tenta di sfuggire ai propri peccati, raccontando all'italiota medio di essere un povero perseguitato che lotterà fino alla morte contro il "cancro della democrazia" (la Magistratura, n.d.r.). Perchè questo cancro può attaccare chiunque: oggi è lui, ma domani potrebbe essere proprio l'italiota, e quindi è giusto combattere! Peccato che lui, grazie ai voti dell'italiota, sfugge da anni al giudizio. Il povero italiota, invece, senza "immunità" varie risponde immediatamente di ogni cosa. Ma vagliela a spiegare all'italiota...

Oggi i parlamentari del Pdl hanno brillantemente chiesto di bloccare i lavori delle Camere per protestare contro la decisione della Cassazione di anticipare il giudizio contro Berlusconi per il caso Mediaset al 30 luglio. Paradossale è che gli stessi che invocavano il "processo breve" (quando faceva comodo per raggiungere prima la prescrizione per alcuni processi del grande capo) oggi si indignino perchè finalmente un grado di giudizio è stato accelerato. Ma si sa, per il leader si può cambiare tranquillamente idea. Per il leader si possono tranquillamente bloccare le istituzioni. Per il leader si possono tranquillamente buttare a mare le larghe intese e tornare a votare tra qualche mese, infischiandosene dell'agonia del paese.

Fin qui, però, agli occhi di qualsiasi essere pensante nulla appare come nuovo. Il problema diventa, invece, la solita incomprensibile schizofrenia del Partito Democratico che da un lato si dice ufficialmente contro ogni commistione tra le vicende giudiziarie di Berlusconi e i lavori del Parlamento (e vai!) ma poi cosa estrae dal cilindro?? Colpo di scena (e di genio) vota a favore della sospensione delle attività per un giorno!! Gioco facile per i grillini (e stavolta come dar loro torto) accusare senatori e deputati Pd di essere servi al soldo del padrone.

L'autolesionismo democratico pare non avere limiti. Non basta l'appoggio ad un Governo schiavo del leader da sempre combattuto, non bastano le polemiche interne e i correntoni, serviva anche questa brillante operazione di "marketing" politico per spiazzare ancora una volta i propri militanti che si chiedono ormai da mesi (o forse da anni) cosa diavolo ci stanno a fare in un partito che non ha un'identità, non ha un'anima e, a quanto pare, nemmeno più una dignità...


mercoledì 10 luglio 2013

LA POLVERIERA EGIZIANA

Autore: Emiliano Bonatti



L’Egitto è ormai in fiamme e sull’orlo della guerra civile, dopo la destituzione di Morsi da parte dell’esercito avvenuta lo scorso 3 luglio. Nessun Capo di Stato, al di fuori di quelli che temono di subire ugual sorte (vedasi Erdogan), ha osato pronunciare la parola “Golpe” in riferimento all’azione dei militari egiziani. Peccato che, tecnicamente, quanto successo sia l’iter tipico del colpo di stato: come altro si può definire, infatti, la presa di potere da parte di un esercito ai danni di un potere costituito eletto tramite regolari elezioni?  Possiamo discutere del grado di “regolarità” di queste elezioni, considerando la delicata fase di transizione seguita al crollo del regime di Mubarak, ma non sono mai giunte notizie di brogli che possano aver falsato l’esito delle urne.

Partendo dalla concreta definizione di quanto è stato, occorre capire quali possano essere i futuri sviluppi della situazione. I generali, al comando dell’unica istituzione realmente strutturata in Egitto, pensavano di riuscire a gestire più facilmente il “ritorno di fiamma” delle proteste dei Fratelli Musulmani. I morti degli ultimi giorni dimostrano l’esatto contrario e sarà realmente difficile per i militari evitare l’escalation verso la guerra civile. D’altro canto l’islam politico (più o meno moderato) ha dimostrato un’enorme capacità di mobilitazione delle masse, tant’è che in tutte le elezioni avvenute negli Stati protagonisti delle c.d. “primavere arabe” i partiti di chiara estrazione religiosa hanno ottenuto ampi successi.

E' qui, però, che nasce un problema di fondo, quasi amletico, per i Capi di Stato occidentali. La caduta di storici regimi nello scacchiere nord-africano e mediorientale e i tentativi di tortuose transizioni verso la democrazia hanno portato ovunque alla vittoria di compagini filo-islamiste, che non hanno perso l’occasione di tentare la virata verso l’islamizzazione dello Stato provocando ulteriore instabilità in aree già altamente volubili. E’ meglio dunque un regime dittatoriale che garantisca un minimo di stabilità, o proto-democrazie che gettino ulteriore benzina sul fuoco?

Gli Stati Uniti, veri arbitri della politica internazionale, sono fermi  a mere dichiarazioni di facciata che “tifano”, ovviamente,  per la rotta verso la pacificazione e la via verso nuove elezioni democratiche.  Tenendo però conto degli interessi americani per un’area strategica come l’Egitto, minacciata dai disordini interni  e dai tentativi di penetrazione economico-politica di Cina e Russia e calcolando che gli stessi Stati Uniti finanziano l’esercito egiziano per circa un miliardo e mezzo di dollari annui, difficilmente la situazione si evolverà verso scenari non graditi a Washington.

Per il momento Obama resta alla finestra, ma con il timone ben saldo tra le mani.