"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

venerdì 16 agosto 2013

L'EGITTO IN FIAMME E L'EQUILIBRISMO DI OBAMA

Autore: Emiliano Bonatti




L'Egitto si prepara ad una nuova giornata campale dopo che l'intervento di mercoledì da parte della polizia e dell'esercito ha di fatto dato il via alla guerra civile nel paese dei Faraoni. I Fratelli Musulmani hanno indetto per oggi la "marcia della rabbia", che non mancherà certo di aizzare ulteriormente gli animi in una situazione ormai altamente esplosiva. Le responsabilità vengono rimbalzate da una fazione all'altra: i manifestanti accusano la polizia di aver commesso una strage di innocenti, le forze dell'ordine mostrano video in cui i sostenitori di Morsi sparano agli agenti. Come sempre, in mezzo al caos, la verità non si potrà mai conoscere. Restano però i fatti: una nazione in fiamme all'interno di un contesto geopolitico altamente instabile. La miccia accesa in Egitto può pericolosamente propagarsi al di là dei patrii confini.

Il problema non è più, dunque, di semplice politica interna (ammesso che lo sia mai stato). Diventa sempre più un fardello che i capi di stato mondiali non possono far finta di relegare a semplice questione locale. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, invitato a riunirsi da Francia, Gran Bretagna e Australia, ha svolto il suo solito sterile compitino partorendo una mini dichiarazione in cui, ovviamente, si condannano le violenze e si sostiene che "there was a common desire on the need to stop violence and to advance national reconciliation". Non ci si poteva aspettare molto di più perchè, da un lato, finchè la situazione egiziana non verrà riconosciuta ufficialmente come "minaccia alla pace internazionale" il Consiglio non ha competenza per eventuali interventi diretti. Ma quand'anche si raggiungesse tale livello, con Cina e Russia che finora nicchiano sull'argomento e gli Stati Uniti impegnati nell'equilibrismo diplomatico di questi giorni, lo stesso Consiglio finirebbe come sempre schiacciato dalle sue obsolete procedure decisionali che lo rendono ormai impotente come guardiano della pace.

Gli Stati Uniti, appunto, sembrano viaggiare sul filo sottilissimo di un equilibrista che non vuole rischiare di cadere su una via troppo dannosa. Da un lato c'è la difesa a oltranza dei principi democratici che nessun presidente americano (nemmeno Bush avrebbe potuto) potrebbe mai tradire in qualsivoglia dichiarazione ufficiale: ecco dunque le affermazioni di condanna verso la repressione. Dall'altro lato c'è il rischio di perdere progressivamente l'influenza sull'esercito egiziano, sovvenzionato da Washington con un miliardo e mezzo di dollari all'anno. La scelta di Obama è stata quella di cancellare una pressochè inutile esercitazione militare congiunta senza però minacciare ulteriori conseguenze. Il Segretario alla difesa Hagel ha telefonato al generale Al-Sissi ventilando il rischio di ricadute sulla cooperazione tra Usa ed Egitto in tema di difesa, ma allo stesso tempo rassicurandolo sul mantenimento delle relazioni militari tra i due Stati.

Diverse critiche sono piovuto in patria sull'atteggiamento del presidente. La Reuters riporta dichiarazioni di diversi ex ufficiali americani che accusano apertamente Obama di essersi giocato l'influenza sui generali egiziani, considerate anche le dichiarazioni delle autorità del Cairo che sottolineano come le dichiarazioni di condanna da parte della Casa Bianca non siano "based on "facts" and will strengthen and encourage violent groups". Di fatto, secondo le accuse, l'assistenza degli Stati Uniti viene ad oggi considerata come "desiderabile" ma non certo "essenziale" in quella che ormai i militari egiziani considerano come una lotta esistenziale contro i Fratelli Musulmani. All'orizzonte c'è anche la promessa di aiuti economici da parte di diversi Stati arabi al governo in carica dopo la deposizione di Morsi. Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi hanno assicurato supporti finanziari per 12 miliardi di dollari, una cifra che fa sembrare insignificanti gli aiuti americani e aumenta il rischio di perdita di influenza in un'area cruciale per gli interessi di Washington. 

Obama non potrà continuare per molto il proprio equilibrismo, anche se un eventuale intervento diretto sarebbe di difficilissima gestione. Un possibile sviluppo potrebbe essere quello di lasciare, come in Libia, l'eventuale gestione della questione a qualche alleato di "buona volontà" anche se nessuno al momento, al di là delle frasi di circostanza, sembra aver intenzione di affrontare realmente l'affare egiziano. Soprattutto per il fatto (come ho già detto in un altro post) che la transizione democratica dei paesi arabi ha un grado di difficoltà pressochè invalicabile, a causa della non maturità delle stesse società/istituzioni rispetto ai principi democratici. Questi principi, le fondamenta socio-politico-culturali della democrazia, non si creano dal nulla e, senza di loro, la democrazia stessa resta pura utopia.

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