"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

venerdì 21 novembre 2014

LE REGOLE DEL TERRORE: VIVERE SOTTO L'ISIS IN SIRIA

Autore: Emiliano Bonatti


Lo scorso 14 novembre le Nazioni Unite hanno pubblicato un interessantissimo report redatto dalla “Indipendent International Commission of Inquiry on the Syrian Arab Republic”  che traccia, sulla base di oltre 300 interviste a donne, uomini e bambini che vivono nelle aree controllate dall’Isis, il devastante impatto che l’avanzata del Califfato sta avendo sulla società siriana. Partendo dalle notizie sulla genesi del gruppo armato e sul “salto di qualità” che l’ha portato a primeggiare all’interno del mosaico di compagini jihadiste dei teatri siriano e iracheno, l’indagine spiega come sia il terrore (quasi più delle armi) la vera garanzia del potere dei seguaci di Al-Baghdadi. Le libertà minime garantite dalle leggi internazionali sono state di fatto azzerate, e le auto-proclamate leggi del Califfo imposte con la forza nel tentativo di sradicare gli aspetti considerati “blasfemi” dalla cultura siriana. Libertà di religione, di espressione e di associazione cessano di esistere. Bambini usati come spie per denunciare eventuali “eversori” all’interno delle proprie famiglie, punizioni corporali, amputazioni, esecuzioni pubbliche. Il tutto con lo scopo di lanciare pesanti moniti a chi semplicemente si sognasse di non allinearsi: la brutalità assunta a sistema di governo.


Il testimone di una pubblica esecuzione nella zona di Dayr Az-Zawr racconta: “entrambe le mani della vittima erano legate ai lati di una croce improvvisata. Sono andato a leggere i cartelli, sul primo si leggeva, “questo è il destino di coloro che combattono contro di noi”. Mi sono reso conto che mio figlio di 7 anni era vicino a me, tenendomi la mano e guardando questa scena terrificante. Più tardi mi ha chiesto, “perché quelle persone erano la? Perché avevano sangue su tutta la testa e il corpo?”. Ho dovuto mentirgli dicendo che stavano aspettando che arrivasse un’ambulanza per curarli”. Un altro testimone: “...nell’ora designata un uomo è stato portato nella piazza, bendato. Un membro dell’Isis ha letto il giudizio di condanna del gruppo nei suoi confronti. Due persone tenevano ferma la vittima, mentre una terza ha allungato il suo braccio su un’asse di legno. Un quarto uomo ha tagliato la mano della vittima. C’è voluto molto tempo, e una persona vicino a me ha vomitato e si è dovuta allontanare dalla orribile scena”. 


Le violenze non si risparmiano nemmeno sulle donne. Un intervistato nella zona di Ar-Raqqah dice: “una studentessa universitaria di 19 anni si è suicidata perché i propri genitori volevano obbligarla a sposare un membro dell’Isis. Molte famiglie obbligano le figlie (molte ancora minorenni) a sposare membri dell’Isis per la paura di essere arrestati o uccisi”. Gli stessi miliziani rendono pubbliche le proprie azioni segnalando, senza alcun rimorso come “dopo la cattura, le donne e i bambini Yazidi sono stati divisi, in accordo con le leggi della Sharia, tra i combattenti…”. Gli stessi bambini sono vittime designate della follia del Califfato. Altri intervistati raccontano: “ho visto almeno dieci bambini di 13/14 anni armati come miliziani dell’Isis. Questi ragazzi servono come guardie nei quartieri generali e nei check-points. Sono armati di kalashnikov e di granate”. E ancora: “le persone trovate a mangiare durante il Ramadan venivano frustate nelle strade. Un membro dell’Isis si è avvicinato ad un ragazzo di 14 anni dopo averlo visto bere acqua. L’ha portato in mezzo alla strada, annunciando il suo crimine, e l’ha frustato 79 volte”.


Non mancano poi le violenze durante gli scontri armati. Un testimone sostiene: “l’esibizione delle teste dei soldati catturati dall’Isis avveniva nel centro della città. Sembrava fossero stati appena uccisi, visti i segni evidentissimi del sangue”. Un testimone dell’esecuzione di un soldato curdo a Ar-Raqqah dice: “il giudice supremo arriva e dice: “lo facciamo di fronte ai vostri occhi, così potete tornare a casa e dire ai vostri figli e ai vostri vicini che questo è quello che i curdi dovranno affrontare”. Le interviste, da sole, basterebbero per rendere l’idea delle aberrazioni che lo Stato Islamico sta commettendo nella propria folle guerra. Ma l’intero report è una precisa e meticolosa descrizione del tentativo dei miliziani di soggiogare e dominare ogni aspetto della vita delle popolazioni tramite il terrore, l’indottrinamento, la cieca obbedienza e la negazione dei diritti umani. Fermare questa barbarie è ormai un dovere assoluto della comunità internazionale. Dovere a cui non possono sottrarsi i paesi europei, ormai non così lontani o “sicuri” rispetto ai teatri di espansione dell’Isis. Fonti francesi parlano di circa un migliaio di transalpini partiti per il fronte jihadista, e la situazione non pare molto diversa nel resto del continente. Il problema di migliaia di cittadini europei, potenziali micce fondamentaliste pronte ad esplodere al ritorno nei propri paesi, non può essere assolutamente sottovalutato.


Il testo integrale del report può essere scaricato qui.



mercoledì 12 novembre 2014

L'UCRAINA AFFILA LE ARMI

Autore: Emiliano Bonatti

Il Ministro della Difesa ucraino, Stepan Poltorak, ha dichiarato che il governo di Kiev è in fase di  riposizionamento delle proprie forze armate ed è pronto a rispondere a qualsiasi nuova offensiva che i ribelli filo-russi stiano preparando nelle regioni occupate dell’est della nazione. Citando relazioni dell’Osce  (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione in Europa) Poltorak sostiene infatti che i separatisti stiano ricevendo ampi rifornimenti di armamenti dal confine russo e che la minaccia di un’escalation del conflitto non sia così remota. I report citati da Poltorak sono stati rilasciati dal personale della Special Monitoring Mission in Ucraina, istituita per il controllo sul campo del rispetto del cessate il fuoco sancito dagli accordi di Minsk del 5 settembre scorso. Il 9 novembre gli inviati Osce segnalano convogli di camion a 15 e 41 km. da Donestk, diretti verso la città controllata dai filo-russi, carichi di armamenti di diverso calibro. Stessa cosa l’11 novembre, quando vengono avvistati circa 40 camion militari diretti verso il centro della città. Nel resoconto gli inviati segnalano peraltro come i camion non abbiano insegne che possano permettere il loro riconoscimento, ma il tipo di armamenti trasportati pare portare direttamente agli arsenali, ereditati dall’Armata Rossa, ancora disposizione  dell’esercito russo.


Kiev, dunque, mantiene alta la tensione, supportata dalla Nato la quale, pur non lanciando minacce particolari, mantiene il costante controllo su quanto avviene vicino ai confini degli Stati membri dell’Alleanza. Il Generale Breedlove, comandante delle truppe Nato in Europa, in un’intervista rilasciata martedì s’è detto “molto preoccupato” circa il trasferimento di armi attraverso il confine russo-ucraino che, a suo dire, continua ormai da giorni. Secondo Breedlove, inoltre, le violenze aumentano ogni giorno e il numero di militari russi passati oltre confine per dare supporto e preparazione alle truppe separatiste ha ampiamente superato le 300 unità stimate precedentemente. A queste vanno poi aggiunti diversi battaglioni che Mosca continuerebbe a mantenere stanziati sulla frontiera russo-ucraina. La Nato denuncia anche l’aumento esponenziale degli incontri “ravvicinati” tra le forze dell’Alleanza e quelle russe, soprattutto nei cieli, dove l’attività dei bombardieri e dei caccia di Putin è triplicata nelle ultime settimane.



La Russia continua invece a negare attività di supporto militare ai separatisti delle regioni filo-russe, sostenendo che finora gli unici trasporti russi verso l’Ucraina riguardano convogli di aiuti umanitari. Secondo Mosca questi aiuti sono inviati in stretto coordinamento con le autorità di Kiev e con il supporto della Croce Rossa garantendo finora forte sostegno alle popolazioni civili dell’est ucraina che soffrono “a humanitarian crisis after Kiev launched a military operation against indipendence supporters in the region”. Ognuno, ovviamente, fa il proprio gioco ma è innegabile che la situazione nelle regioni separatiste resti ad altissima tensione. Putin è senza dubbio ingolosito dall’idea di “fagocitare” altre regioni ucraine, dopo l’annessione lampo della Crimea, ma sa benissimo che non può tirare troppo la corda sia perché le sanzioni iniziano ad avere pesanti ripercussioni sull’economia interna, sia perché non è così folle da rischiare uno scontro aperto (o addirittura militare) con l’Occidente. Molto probabilmente le piccole schermaglie sul campo, come quelle diplomatiche, continueranno ancora per settimane lasciando irrisolto un conflitto il cui bilancio conta già, in pochi mesi, 4000 vittime.


mercoledì 5 novembre 2014

DELIRI LEOPOLDIANI E UN PAESE CHE MUORE

Autore: Emiliano Bonatti

Inebriato dalle celebrazioni della Leopolda, che hanno promosso il renzismo a via maestra (ed unica) per la cura di un paese malato, sospinto dai consigli dello spin-doctor londinese con interessi economici sparsi in qualsiasi parte del mondo tranne che in Italia, sostenuto da un general manager che “delocalizza” sedi legali per avere vantaggi fiscali, benedetto da Confindustria e difeso coi denti e con le unghie dalle sue ancelle pronte a sacrificarsi per farsi notare dal capo (Picierno docet), Renzi deve aver perso per strada il contatto con il paese reale. Accade spesso agli uomini soli al comando convinti, dal proprio ego e dalle rispettive corti, di avere sempre ragione su tutto. E guai al pazzo che osa porre domande o questioni specifiche… è semplicemente un eretico che non vuole comprendere dove stia la “verità” e può essere liquidato in pochi secondi con qualche simpatica freddura.


Le manifestazioni, le manganellate, le proteste, le minoranze che osano porre “problemi” sono viste come semplici fastidi da rimuovere al più presto, o da nemmeno considerare, inventandosi qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa. In questo, purtroppo, il buon Matteo ricorda molto chi l’ha preceduto per vent’anni a Palazzo Chigi. C’era sempre qualche dissidente, qualche comunista o qualche cariatide da incolpare per i mancati successi o, per dirla in maniera più sensata, per le proprie cazzate. “Le leggi si fanno in Parlamento, non con i sindacati”... verità tecnicamente ineccepibile, peccato che essi rappresentino, nonostante il fastidio di Renzi, una notevole fetta dei lavoratori italiani (e magari degli elettori Pd) e che sia doveroso un confronto serio anche con loro. Tra l’altro come può giustificare il premier questo slancio di amore per il ruolo legislativo del Parlamento quando, ad ogni occasione in cui non ci si sente sicuri dei numeri, si pone la fiducia sulla conversione in legge di qualche Decreto (non ultima sul Decreto Sblocca Italia)? Non è anche questo un atto che di fatto esautora il Parlamento dalle proprie funzioni?


“C’è qualcuno che sul lavoro vuole spaccare il paese”... ma chi, finora, ha avuto i toni più sprezzanti e dequalificanti nei confronti di qualsiasi interlocutore non allineato? Chi finora, col proprio atteggiamento, sta ulteriormente dividendo un paese tra “seguaci” e “non seguaci”? Tra “giusti” e “vecchi da rottamare”? Senza contare che finora l’iniqua azione di governo non sta dando la minima risposta al continuo aumento delle divaricazioni e delle fratture sociali: il ricco sempre più ricco, il povero sempre più povero, il poliziotto che diventa il nemico del manifestante, il precario nemico dell’assunto a tempo indeterminato. Renzi, con la boria dell’uomo che non deve chiedere mai, non sta rispondendo a nessuna delle istanze che arrivano da chi sta soffrendo più di tutti la crisi. Non sono certo i Serra, i Marchionne o gli Squinzi quelli da ascoltare con maggiore attenzione ma finora il nostro Matteo si preoccupa più di visitare le dirigenze di fabbriche appositamente svuotate degli operai (come a Brescia) piuttosto che confrontarsi direttamente con le fasce deboli della società. Non è, oltretutto,  occupando le televisioni che si risolvono i problemi del paese. Certo, andando nel salotto della D’Urso si guadagna il sostegno della fascia demenzial-italiota della domenica pomeriggio, ma non si fa ripartire un paese in ginocchio. La tecnica è già stata vista per vent’anni, ora basta. Basta con gli slogan e le battute, all’Italia servono politici seri, non cabarettisti. Il trio Renzi-Berlusconi-Grillo, leader alla guida dei 3 principali partiti italiani, è qualcosa di agghiacciante.



Si lascino da parte le campagne pubblicitarie in perfetto stile Cavaliere, così come l’agenda delle riforme dettata da Arcore, e ci si confronti con le fasce più sofferenti di questo sgangherato paese. Solo unendo la nazione si possono affrontare passi difficili, ma nel contesto attuale lo spirito unitario non si vede nemmeno all’orizzonte. E c’è poi il dovere morale di non garantire a Berlusconi il ruolo di padre costituente della nuova Italia. E’ un insulto alla nazione (e un godimento per Silvio) constatare che Sacconi e Verdini siano più influenti adesso di quando erano al governo e siano i punti di riferimento del dialogo per le riforme. Direi che, nonostante i vanti, non ci siamo proprio...


martedì 4 novembre 2014

NUOVA BENZINA SULLA CRISI UCRAINA

Autore: Emiliano Bonatti


Il Presidente ucraino Petro Poroschenko ha convocato d’urgenza i propri consiglieri per la sicurezza, al fine di valutare le strade da perseguire per affrontare la miccia innescata dalle elezioni organizzate (e vinte) dai separatisti delle regioni orientali di Donetsk e Luhansk. La posizione di Kiev è di netta condanna di quella che viene definita una “farsa elettorale”, incoraggiata da Mosca, in palese violazione degli accordi di Minsk del 5 settembre scorso, che prevedevano l’elezione di rappresentanti locali sotto l’esclusiva legislazione ucraina. Di uguale tenore è la posizione degli Stati Uniti che, tramite la portavoce della Casa Bianca Bernadette Meehan, definiscono illegittime le elezioni di domenica nelle regioni separatiste e minacciano un inasprimento delle sanzioni contro la Russia se questa continuerà nei tentativi di legittimare le istanze dei ribelli. La stessa Merkel ha definito incomprensibile il tentativo di Mosca di riconoscere la validità delle elezioni, ventilando l’ipotesi di uguale inasprimento delle sanzioni da parte dell’Unione Europea.


Putin potrebbe esporre la propria posizione ufficiale nella giornata di oggi, nella cornice di una cerimonia presso la Piazza Rossa, ma l’atteggiamento della Russia e dei separatisti ucraini è apparso già abbastanza chiaro nella giornata di ieri. Mosca, pur non parlando apertamente di riconoscimento ufficiale del voto, sostiene che i neo-eletti Alexander Zakharchenko (a Donetsk) e Igor Plotnisky (a Luhansk) abbiano pieno titolo e mandato per negoziare con Kiev, in quanto sostenuti dal voto popolare. Lo stesso Primo Ministro dell’auto-proclamata Repubblica Popolare di Donetsk ha dichiarato che le elezioni non contraddicono assolutamente gli accordi di Minsk i quali, a suo avviso, prevedevano il pieno diritto per i territori orientali di procedere a consultazioni elettorali volte alla nomina dei propri leader. Zacharchenko ha lanciato anche un messaggio a Poroschenko sostenendo che la Repubblica di Donetsk è aperta al dialogo con Kiev, ma attende uguali segnali in questo senso da parte del governo ucraino.


La situazione appare dunque alquanto intricata. Nel timore di perdere, dopo la Crimea, anche le due regioni orientali Poroschenko s’è detto disponibile a valutare una serie di norme che garantiscano uno statuto speciale alle aree di fatto in mano ai separatisti ma, ovviamente, all’interno della giurisdizione ucraina, non certo alle condizioni “sussurrate” dalle pressioni russe. Dal canto suo Putin pare giocare una specie di partita a Risiko con l’Ucraina e l’occidente. Da un lato, dopo varie minacce, chiude i contratti per la fornitura di gas verso Kiev e l’Unione Europea, dall’altro mantiene il sostegno alle istanze separatiste filorusse delle regioni dell’est ucraino. Stuzzica la Nato con un aumento delle missioni aree nei cieli internazionali attorno allo spazio aereo dell’Alleanza Atlantica, rendendo alquanto nervosi i vertici di Bruxelles. La stessa Nato ha espresso parere negativo circa le elezioni organizzate nelle regioni di Donetsk e Luhans sostenendo, già il 31 ottobre tramite il proprio Segretario Generale, che “the planned elections undermine efforts towards a resolution of the conflict. They violate Ukrainian laws and run directly counter to the Minsk agreements”, e che NATO fully supports the sovereignty and territorial integrity of Ukraine. I call on Russia to respect its Minsk commitments, which could help pave the way for a peaceful solution.



La partita ucraina, che sembrava ammorbidirsi dopo gli accordi di Minsk, è di fatto tutt’altro che congelata, stretta nella morsa degli interessi geopolitici di Putin e dall’interesse dell’occidente a non perdere la “vicinanza” di uno stato cuscinetto chiave per gli equilibri dell’est Europa. Sarà interessante valutare se, e in quale misura, l’Unione Europea sarà disposta a proseguire la strada delle sanzioni economiche contro le interferenze russe. Le contro-sanzioni imposte da Mosca verso le importazioni dall’Ue, infatti, stanno creando non pochi problemi a diversi settori economici europei che vantavano grossi rapporti di esportazione proprio verso la Russia. Lo scacchiere ucraino sarà dunque un test alquanto problematico per la nostra Lady Pesc, Federica Mogherini.