"In un regime totalitario gli idioti ottengono il potere con la violenza e gli intrighi... in una democrazia, attraverso libere elezioni..."

giovedì 9 luglio 2015

LA CRISI GRECA, GRANDE OPPORTUNITÀ PER L’EUROPA

Autore: Angelo Paulon


In effetti il titolo qui sopra potrebbe sembrare contraddittorio, persino insultante. Ma come: l’esito della consultazione popolare greca del 5 luglio e le ipotesi, a quanto pare sempre più concrete, di “Grexit” potrebbero avere effetti dirompenti sull’economia (non solo di Atene) e minare a fondo l’unità stessa dell’Europa così come la conosciamo, e qualcuno la vede come un’opportunità? Questa è follia pura! No, si tratta semplicemente di una provocazione. Di un pungolo, uno stimolo a pensare in maniera differente, magari inconsueta: a immaginare un’Europa finalmente diversa, conscia delle proprie potenzialità e in grado di assumere sullo scacchiere internazionale un ruolo di primo piano. Nella realtà, non a parole.

Ogni grande difficoltà porta con sé un’opportunità. La questione greca dà all’Europa la possibilità di ripensarsi (a beneficio dei suoi stessi cittadini, delle sue imprese, della sua economia) e di cominciare a riposizionarsi (sullo scacchiere internazionale). Per quanto riguarda il ripensarsi, è chiaro che la stessa notizia che sta circolando in queste ore, e cioè il fatto che l’UE starebbe studiando un piano di aiuti umanitari per la popolazione greca, dovrebbe suonare come qualcosa di molto più che un campanello d’allarme. È il segnale della sconfitta: il più bel progetto degli ultimi decenni, il sogno di un continente finalmente pacifico, prospero e in grado di garantire benessere a tutti i propri cittadini (sogno che pareva a portata di mano appena dopo la caduta del Muro), in frantumi. La sola ipotesi di dover fornire “aiuti umanitari” a cittadini dell’UE (la stessa formula usata per portare soccorsi alle popolazioni colpite da terremoti, carestie, guerre) dovrebbe fare accapponare la pelle a politici, tecnocrati, banchieri, teorici del default, burocrati. E soprattutto a noi, semplici spettatori. Oggi tocca ad Atene. Per chi suonerà la campana domani? È davvero questa l’Unione che ci serve? O non è forse giunto il momento di comprendere che se l’UE continuerà a essere percepita come un ambiente nel quale i paesi forti tiranneggiano quelli deboli, la grande finanza e le banche perseguono cinicamente i propri interessi speculativi a scapito della qualità della vita delle persone, si rischia di avvitarsi in questa crisi e di non saper più tornare indietro?

Quanto al riposizionarsi, è del tutto evidente che, in questo preciso momento storico, l’Europa così com’è non ha reale voce in capitolo praticamente in nessuna delle questioni davvero rilevanti sullo scacchiere internazionale. Dai negoziati sul nucleare iraniano alla lotta contro lo Stato Islamico, sino ai tentativi di risoluzione della crisi ucraina, l’UE in quanto tale gioca un ruolo assolutamente secondario. È presente, ma non viene considerata un attore in grado di avere una reale influenza sui processi decisionali volti a governare queste criticità: al massimo, come compagna di viaggio degli USA che appiattisce le proprie posizioni a quelle del grande alleato d’oltreoceano. A volte anche pedissequamente e contro i propri stessi interessi, come nel caso delle sanzioni alla Russia: per informazioni, rivolgersi agli imprenditori tedeschi, italiani, francesi e non solo, che stanno perdendo miliardi di Euro in interscambi commerciali. Spesso, i singoli Stati membri si muovono in maniera convulsa e a dir poco disorganica, a volte in palese contraddizione l’uno con l’altro. Cosa tanto più grave, se consideriamo che in questo momento storico nessuno dei paesi europei, singolarmente, può giocare un ruolo di rilievo sullo scenario internazionale: nemmeno la potente Germania, da sola, può competere in termini di importanza geopolitica con i grandi giocatori quali USA, Cina, Russia.

S’è fatto un gran parlare, nei giorni scorsi, del possibile accordo tra Grecia e Russia grazie al quale questa potrebbe fornire ad Atene 5 miliardi di Euro in pagamenti anticipati per i futuri diritti di passaggio del gas russo, proveniente dalla Turchia, sul territorio greco in attuazione del progetto Turk-Stream. Tale scenario ha immediatamente allarmato gli USA, preoccupati non tanto di evitare che la Grecia passi sotto l’ombrello protettivo di Mosca, quanto di preservare il processo di unificazione europea affinché l’Euro resista e continui a fare da cuscinetto di protezione del ruolo del dollaro. In realtà, la conduttura è ancora più nelle intenzioni che qualcosa di concreto: T. Maltby scrive su theconversation.com “Major questions remain regarding the feasibility of the project. All that has been agreed so far is a non-binding agreement to pursue the idea further. The timetable of construction is highly ambitious”. Ma dal punto di vista tattico, per l’UE, perché non approfittare di questo avvicinamento tra Tsipras e Putin per provare a costruire un nuovo ponte nelle relazioni euro-russe, oltretutto su un argomento di vitale importanza per l’intera Europa, ovvero l’approvvigionamento di fonti energetiche? Il gasdotto potrebbe facilmente giungere in Puglia, e di qui proseguire verso il Nord Europa grazie alla rete infrastrutturale che già esiste: con rendite di posizione interessanti, tra l’altro, anche per la stessa Italia. Il tutto, senza dover abbandonare il progetto TANAP, che nelle intenzioni dell’UE dovrà approvvigionare il vecchio continente con gas proveniente dall’Azerbaijan via Turchia.

E dunque, perché non cogliere l’occasione offerta, suo malgrado, dalla crisi greca per sparigliare un po’ le carte e modificare il proprio posizionamento? Perché non riappropriarsi di una propria dignità, di un’identità autonoma, indipendente, in grado di veicolare le enormi potenzialità del continente? È chiaro che non si può pensare di stravolgere in un batter d’occhio decenni di alleanza atlantica e di rapporti privilegiati (economici, militari, culturali, politici) con gli USA. E, in fondo, sarebbero in pochi a volerlo davvero. Ma se gli americani annunciano urbi et orbi di avere modificato le loro linee di condotta strategica, avendo ora non più come focus principale l’Atlantico ma il Pacifico; se raffreddano il loro coinvolgimento persino nello scenario dove opera il loro alleato storicamente più vicino (Israele), perché l’Europa non potrebbe fare altrettanto? Perché non dovrebbe ampliare, senza per questo stravolgere, i propri riferimenti geopolitici al fine di perseguire i propri interessi vitali?

Certo, né ripensare l’Europa, né riposizionarla sono compiti facili; ma la differenza tra statisti e tecnici sta, deve stare, proprio qui: tra chi è in grado di essere lungimirante, di immaginare, concepire, gettare le basi per un nuovo, grande progetto europeo (o, se si preferisce, per rilanciare quello originale che pare aver deviato bruscamente dalla sua strada), e chi si limita all’applicazione di regole e parametri, non si sa quanto ragionevoli, facendosi apostolo di una sorta di dittatura dei crudi numeri della contabilità. Statisti e Politici (volutamente con la P maiuscola) d’Europa, se ci siete, è il momento di battere un colpo.


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